21/07/07

Visione

La visione che mi venne inaspettata nella mente, era quella di un fiume vissuto. Di un fiume rivalutato. Di un fiume che ritorna dal passato, per reclamare il suo giusto ruolo che gli compete.
Un fiume, che da tempi lontani ormai dimenticati, ricorda alle genti la sua esistenza e il suo valore.
Un fiume vivo, che non vuole essere sporcato, che non vuole essere considerato come una naturale fogna a cielo aperto.
Un fiume disonorato dall’inquinamento, che vuole recuperare la sua dignità.
Una via d’acqua ormai persa dalla memoria collettiva, che non aspetta altro che servire nuovamente le genti che dall’alba dei tempi ne hanno goduto la sua vitalità e ricchezza.
Un fiume che vuole tornare a essere un fiume.
E la visione ha continuato a proiettarsi negli occhi della mia mente, come un film che percorrendo gli stadi della sua storia, manifesta scena dopo scena, risvolti e colpi di scena inattesi.
Improvvisamente, quello che sembrava un povero fiume che elemosina il giusto rispetto, diventa il protagonista con un destino da salvatore.
Un fiume che si trasforma da vittima a liberatore.
Un fiume che da umile essere inascoltato, diventa maestro.
Un fiume che perdona gli stupri che l’essere umano ha commesso e che ci dona la redenzione.
E in questo clima di riappacificazione tra uomo e natura, nasce una nuova consapevolezza.
Il riconoscimento che noi esseri umani siamo nulla senza di lui.
Che senza la sua preziosa linfa, l’uomo non potrebbe esistere.
Che senza il suo scorrere tra la terra, nulla crescerebbe.
Che senza di lui, senza la sua vista, senza il suo suono, a volte debole e melodioso, a volte forte e prorompente, la nostra anima inaridirebbe.
E da questa coscienza, piano piano, sorge dal profondo del proprio cuore una chiara emozione.
Un sentimento di riconoscenza.
Un grazie immenso per avere sopportato la nostra ignoranza.
Per aver saputo aspettare che ci accorgessimo da soli, che stavamo facendo del male a nostro fratello. E che questo parente, è parte di noi. Parte di un tutto che ci riguarda, che ci unisce, che ci porta prima o poi a capire che quello che facciamo agli altri, lo facciamo anche a noi stessi.
Nel bene o nel male.
Mi pervade la consapevolezza che la vita ci aveva dato il compito di vigilare su di lui. Di essere il suo guardiano piuttosto che il suo carnefice e che tutti noi disonorandolo, abbiamo infranto il sacro impegno di proteggerlo e di preservarlo dalla nostra stessa stupidità e di vivere in armonia con lui.
E questa spirale di emozioni, mi porta a capire che ormai la riflessione riguarda me stesso.
Questo compagno inascoltato che non parla la mia lingua, mi ha comunicato con la sua semplice presenza chi sono.
Un senso di vergogna mi invade.
Lui è sempre stato qui e solo ora mi accorgo della sua esistenza.
Della sua bellezza.
Della sua importanza.
Mi rendo conto che da quando sono nato, lui è sempre stato lì.
In tutti questi anni silenziosamente mi ha aspettato.
E ora mi trovo a dialogare con lui attraverso il meraviglioso linguaggio delle emozioni.
Improvvisamente mi sento un privilegiato.
Ho voglia di gridare a tutti la mia scoperta. La mia illuminazione.
Ho voglia di fermare le auto sui ponti che lo attraversano e dire: “Hei! Guarda giù! È il fiume Reno! È nostro fratello!”